L’economia mondiale divisa in blocchi e la deglobalizzazione infelice
Paolo Guerrieri interviene nel dibattito aperto dall'articolo di Paganetto. La nuova fase di interdipendenza globale e il ruolo geopolitico inedito per l’UE. Profonde e destinate a durare le ripercussioni che sta avendo sulle relazioni economiche internazionali e sugli equilibri di potere sottostanti la guerra scatenata da Putin.
di Paolo Guerrieri, Paris School of International Affairs, SciencesPo
Si parla apertamente ormai di fine della globalizzazione, l’intera economia mondiale potrebbe uscirne trasformata. Ma se il riferimento è alla fase aurea dell’economia globale, definita la ‘globalizzazione felice’, perché crescita e liberalizzazioni sembravano affermarsi ovunque nel mondo, va osservato che si tratta di un’era finita ormai da tempo, dopo la grande crisi finanziaria del 2008-2009.
Già nel passato decennio, prima della pandemia, si era delineata una nuova fase dell’economia globale: un assetto tripolare (USA, Cina ed Europa) caratterizzato da reciprocità e tensioni crescenti nei rapporti tra le maggiori aree e paesi. Il vecchio ordine economico internazionale aveva lasciato il posto a un sistema di relazioni economiche dominato più dai rapporti di forza tra i paesi che dalle regole e istituzioni multilaterali del passato. Una sorta di ‘equilibrio tra le potenze’ (balance of power) esemplificato dallo scontro economico, tecnologico e strategico tra Stati Uniti e Cina, che era nato ancor prima di Trump con la svolta nazionalista e all’insegna dell’espansione nel mondo della Cina di Xi Jinping.
La crisi pandemica ha poi contribuito ad accrescere la frammentazione del sistema economico internazionale e a rimarcare ancor più l’assenza di una leadership globale. E quanto era avvenuto sul fronte della lotta alla pandemia e della somministrazione dei vaccini, con risposte nazionali disordinate e in contrasto con il carattere globale dei problemi da affrontare, ne era stata una evidente conferma.
Ora le sanzioni di inusitata durezza degli Stati Uniti, dell’Europa, e degli altri maggiori paesi volte a spingere al collasso l’economia di Mosca, aggiungono al quadro economico mondiale il conflitto endemico con la Russia. È uno scontro che segna il ritorno alla guerra fredda in Europa, destinato a durare a lungo e produrre una molteplicità di conseguenze. I riflessi più importanti oltre che sul piano delle materie prime e dell’energia, che renderanno più difficili e molto più costosi i rifornimenti, saranno soprattutto su quello militare e della sicurezza, con il ‘contenimento’ da parte occidentale nei confronti di Mosca e un conseguente forte aumento delle spese per la difesa.
Ma il rischio è una ridefinizione ancora più vasta degli assetti dell’economia mondiale nel caso si consolidasse una più stretta alleanza tra Russia e Cina. Si formerebbe in questo caso un blocco sino-russo di paesi autoritari contrapposto a un blocco di paesi democratici ed economie di mercato imperniato su Stati Uniti ed Europa. Si tratterebbe di uno scenario di ‘decoupling’ ovvero ‘disaccoppiamento’ dell’economia mondiale che figurava già prima del conflitto tra quelli possibili e che avrebbero potuto caratterizzare i rapporti tra Stati Uniti e Cina nella fase post Covid.